SYDNEY, 25 novembre 2020 – Come può una società con opinioni diverse su storia, cultura e valori, alcuni dei quali in apparente contrasto, plasmare un’identità comune che scavalchi le differenze e non privilegi alcuni gruppi o sminuisca il valore del prossimo?
Per analizzare l’argomento e altre questioni ad esso connesse, i bahá’í d’Australia si sono impegnati in un progetto biennale con centinaia di partecipanti, tra cui funzionari, organizzazioni della società civile, giornalisti e numerosi attori sociali di tutti gli stati e territori.
Frutto di questi dibattiti è il lancio di una nuova pubblicazione intitolata Creating an Inclusive Narrative (Creare una narrazione inclusiva), avvenuto la scorsa settimana in occasione di un convegno nazionale durato cinque giorni e organizzato dall’Ufficio Relazioni Esterne bahá’í nazionale, sul tema della coesione sociale e dell’inclusione.
Nella sessione inaugurale del convegno, il governatore del Nuovo Galles del Sud, Margaret Beazley ha preso in esame l’importante ruolo che governo e istituzioni possono svolgere nel rafforzare i legami tra i cittadini.
“L’inclusività delle discussioni confluite nell’eccellente documento bahá’í Creare una narrazione inclusiva… è di per sé un eccellente esempio di un’istituzione che si dedica e si impegna in un processo di dialogo a più livelli con persone di diversa provenienza, sesso, abilità e disabilità, cultura e fede.”
In un’altra sessione del convegno, Anne Aly, deputata al Parlamento, ha ricordato la citazione di Bahá’u’lláh “La Terra è un solo Paese e l’umanità i suoi cittadini”, soggiungendo: “Penso che questo sia il punto di partenza per la coesione sociale. Considerarci tutti come cittadini uguali di un mondo che va oltre i confini nazionali, che va oltre le differenze di razza, le differenze di religione, le differenze di status sociale o economico.”
“Ciò che più mi attrae della fede bahá’í è il principio fondamentale dell’uguaglianza dell’umanità.”
L’avvio di un processo di apprendimento
Ida Walker dell’Ufficio Relazioni Esterne descrive come è partito il progetto: “Nel 2016 è comparso in primo piano sulla scena nazionale il tema della coesione sociale. In quel momento, come tuttora, c’era un grande bisogno di unificare gli spazi in cui le persone potessero, senza limitazioni né voci predominanti, analizzare la questione e trovare il tempo necessario all’ascolto e ad essere ascoltate.
Nel 2018, l’Ufficio Relazioni Esterne era sempre più impegnato in questo discorso. Con l’incoraggiamento di diversi attori sociali e dipartimenti statali, iniziò a prender forma il progetto Creare una narrazione inclusiva.
“Sapevamo che il processo doveva coinvolgere voci diverse provenienti da realtà diverse del Paese: est e ovest, aree rurali e urbane, partendo dalla base fino a livello nazionale. Per la sua crescita avevamo bisogno di molte persone in grado di agire come facilitatori”, afferma la signora Walker.
A metà del 2019, in alcuni stati si cominciarono a organizzare dei piccoli incontri. Man mano che cresceva il numero dei facilitatori provenienti da diverse regioni del Paese, aumentava anche il numero degli incontri. La signora Walker spiega: “Le sessioni di orientamento hanno permesso ai facilitatori di riflettere profondamente sulle qualità e sugli atteggiamenti necessari per creare spazi unificanti. Queste sessioni hanno offerto loro l’opportunità di pensare a una serie di domande da porsi.”
“Era importante che i facilitatori risiedessero nelle aree in cui si svolgevano le riunioni e fossero a conoscenza dei problemi e degli interessi locali. Con nostra sorpresa, questo criterio ha fatto sì che facilitatori e partecipanti potessero continuare le loro discussioni alternandole alle riunioni mensili, con conseguente crescente entusiasmo e interesse tra i partecipanti nel prosieguo del processo. ”
Il progetto alla fine ha promosso incontri mensili contemporanei in diversi stati per un totale di 50 tavole rotonde.
Superare le differenze
Uno dei partecipanti agli spazi di discussione ha valutato la necessità di legami più profondi tra le diverse genti del Paese: “In Australia stiamo assistendo alla riunificazione di svariati percorsi in una situazione veramente straordinaria per creare un nucleo di narrazioni interconnesse … ma quanto siamo disposti ora a farci coinvolgere in queste storie? … Se non lo siamo, allora siamo tante cose separate e senza che esista alcun rapporto vicendevole.
“Se l’Australia è un work in progress, allora quanto siamo disposti a creare qualcosa di nuovo?”
La signora Walker spiega inoltre che promuovere la diversità in ogni ambito della società, benché fondamentale, non è sufficiente ad avvicinare le persone o a creare consenso su questioni fondamentali. “Le storie delle popolazioni indigene, dei coloni europei e quelle più recenti dei migranti devono trovar voce, ma vanno anche riconciliate.”
“Quando l’Ufficio Relazioni Esterne ha iniziato a impegnarsi nel discorso sulla coesione sociale, abbiamo sentito molti attori sociali asserire che queste storie correvano su binari paralleli ma non si intrecciavano. Questo progetto ha permesso a diversi segmenti della società di scoprire una narrazione che consentirebbe a tutto il nostro popolo di ritrovarsi in un viaggio comune.”
All’inizio del progetto, i partecipanti a questo processo hanno discusso su come qualsiasi tentativo di scavalcare le differenze dovrebbe affrontare la questione della storia. Attingendo alle proficue considerazioni nate da queste conversazioni, Creare una narrazione inclusiva inizia con questo argomento in una sezione intitolata “Dove siamo stati?”, richiamando l’attenzione sulla ricca e antica storia del Paese ed evidenziando le sfide e le opportunità dei giorni nostri: “Un filo conduttore che attraversa la nostra storia sono le storie di tempi belli e tempi brutti, momenti degni di vergogna come anche di orgoglio. Nessuna nazione ha testimonianze di storia senza macchia, eppure coloro che hanno subito migrazioni e sofferenze, in particolare i popoli indigeni, hanno dimostrato un’enorme resilienza. Il potere dello spirito umano di travalicare le ingiustizie e superare le crisi è una caratteristica primaria che ha arricchito e plasmato l’evoluzione della nostra società.”
Identificazione di valori condivisi
I partecipanti al progetto hanno riconosciuto che, nonostante le difficoltà iniziali, la scoperta di valori comuni sarebbe stata necessaria per superare le barriere verso un maggior grado di armonizzazione. Venus Khalessi dell’Ufficio Relazioni Esterne bahá’í nazionale descrive l’effetto che la pandemia ha avuto sulla capacità dei partecipanti di sviluppare un maggiore senso di identità condivisa. “All’inizio c’era un po’ di titubanza da parte dei partecipanti a parlare di valori per paura di offendere gli altri. Ma quando la pandemia ha colpito, tutti hanno visto che di fronte alla crisi la gente è diventata più gentile, più generosa e più aperta nei confronti degli estranei. Ciò ha avuto un impatto significativo sul modo in cui ci consideravamo all’interno della società e sulla nostra capacità di articolare i valori che volevamo veder consolidati una volta superata la crisi. I nostri valori umani condivisi sono diventati un punto di riferimento, compresi principi spirituali come la giustizia, la compassione e la nostra unità intrinseca.
Queste discussioni hanno rivelato che è necessaria una capacità fondamentale per identificare i valori condivisi, descritti nella pubblicazione come “apertura all’adattamento e flessibilità nell’abbracciare credenze, valori e pratiche utili per affrontare le questioni di oggi e discostarci da quelle obsolete”.
Alcuni dei valori, delle qualità e delle caratteristiche identificati dai partecipanti e acquisiti nella pubblicazione comprendono: l’unità dell’umanità e l’unità nella diversità, la consultazione come mezzo per il processo decisionale collettivo, il riconoscimento della nobiltà e della dignità di ogni persona, la collaborazione, un atteggiamento di apprendimento su ogni tema e un’apertura a nuovi modi di vivere.
Ampliamento del dialogo
La signora Walker spiega come questa esperienza abbia rivelato che il problema di trovare un terreno comune non è la mancanza di valori condivisi, ma piuttosto la mancanza di spazi in cui le persone possano conoscersi a un livello più profondo. Dichiara: “I problemi che stiamo vivendo non possono essere risolti da un gruppo per l’altro. Nel Paese riscontriamo un grande potenziale che può essere sprigionato semplicemente fornendo spazi in cui valori e visione condivisi possano essere promossi e tradotti in azione. Molte persone, partecipanti al processo proposto dalla tavola rotonda, hanno rafforzato la loro determinazione a dare il proprio contributo alla società”.
Brian Adams, direttore del Centre for Interfaith and Cultural Dialogue della Griffith University nel Queensland, che ha anche fatto parte del Comitato consultivo per Creare una narrazione inclusiva, afferma, in merito al progetto: “Non stiamo cercando di creare artificialmente un’ampia identità. Stiamo cercando di individuare i fili che compongono la nostra identità e intrecciarli insieme in questa narrazione. … [questo processo] è qualcosa che viene fatto attraverso la collaborazione e l’ascolto rispettoso unitamente alla gran mole di lavoro necessaria per creare insieme quell’identità.”
Natalie Mobini, direttrice dell’Ufficio Relazioni Esterne bahá’í e membro dell’Assemblea Spirituale Nazionale bahá’í dell’Australia, spiega le possibilità di coinvolgimento di molti più segmenti della società come risultato delle relazioni che si sono costruite tra istituzioni, governo e società civile attraverso questo processo. “Quando l’Ufficio Relazioni Esterne intraprese questa iniziativa, non ci rendemmo conto delle dimensioni che avrebbe assunto. Uno dei risultati più promettenti del progetto sono le relazioni costruite tra coloro che hanno partecipato. È emersa una rete di persone attraverso l’intero Paese, dai gruppi e dai leader della comunità a livello locale fino ai dipartimenti governativi statali e nazionali.”
La Dottoressa Anne Aly, deputata in Parlamento, durante il convegno ha tratto spunto dalle visioni intuitive della letteratura accademica per analizzare come le nuove concezioni di coesione sociale possano permeare maggiormente la società. “Così come non possiamo considerare la pace semplicemente come l’assenza della guerra, anche la coesione sociale non può essere considerata semplicemente l’assenza di discordie o divisioni all’interno di una società.” Ha proseguito spiegando che la coesione sociale non deve essere trattata come un’area d’azione politica ben impacchettata, ma che tutte le politiche dovrebbero contribuire a una società più coesa.
La Dottoressa Anne Aly, deputata al Parlamento, ha anche fatto riferimento al seguente passo degli scritti bahá’í, definendolo rilevante per il dibattito sulla coesione sociale: “Sii generoso nella prosperità e grato nelle avversità. Sii degno della fiducia del tuo vicino e trattalo con viso sorridente e amichevole. … Sii come una fiaccola per coloro che camminano nelle tenebre, una gioia per l’addolorato, un mare per l’assetato, un rifugio per l’angosciato, un sostegno e un difensore per la vittima dell’oppressione. … Sii un asilo per gli estranei, un balsamo per il sofferente …”
Il documento Creare una narrazione inclusiva, le registrazioni delle sessioni del convegno e ulteriori informazioni sul progetto sono disponibili sul sito web dell’Ufficio Relazioni Esterne della comunità bahá’í australiana.